Se amavi il calcio ed eri tanto fortunato da giocarlo a livello professionistico, non avresti potuto scegliere un decennio migliore in cui vivere. E se eri un potenziale alcolista non avresti potuto sceglierne uno più pericoloso. Negli anni sessanta succedeva di tutto. E tutto sembrava possibile.
Se Matt Busby fosse stato più duro con me forse le cose sarebbero andate meglio. L’avevo sempre fatta franca, pensavo di poter fare tutto ciò che volevo. Le regole della squadra non valevano per me. Loro non dovevano convivere con il fatto di essere George Best.
Le regole sono fatte per essere infrante e io le infrangevo tutte, non perché fossi un ribelle o perché stessi cercando di dimostrare qualcosa. Ero semplicemente fatto così. Niente di più.
È stato l’alcool che nel 1984 mi ha portato alla prigione di Pentonville per guida in stato d’ebrezza, reato che sicuramente non mi avrebbe fatto finire in gattabuia se poi non avessi preso a testate un poliziotto.
Fu il giornale portoghese “Bola” – dopo la finale di Coppa dei Campioni con il Benfica – a soprannominarmi El Beatle perché ero un inglese con i capelli lunghi. Quel soprannome mi sarebbe rimasto appiccicato per un po’.