Non si può dare il proprio cuore ad una creatura selvatica. Più le si vuole bene più diventa ribelle: finché un giorno se ne scappa nelle praterie e poi in cima a un albero, e poi su un albero più alto.
Non sono un grande scrittore ma dalla prima volta che l'ho sentita questa storia mi ossessiona, mi consuma. Temo che se non la scrivessi non scriverei mai più! Temo che se la scrivessi potrebbe non essere buona quanto dovrebbe.
Noi, se ci serviva una cosa, ce la prendevamo. Se uno si lamentava più di una volta che l'avevamo pizzicato aveva finito di lamentarsi per sempre, era ordinaria amministrazione, non ci pensavamo due volte.
I ragazzi arrivavano in Cadillac e me le lasciavano parcheggiare. Giorno per giorno imparavo come si campava a sbafo, un dollaro qua, un dollaro là. Vivevo come in un sogno.
Mio padre era incazzato perché sapeva quello che succedeva lì e ogni tanto mi dovevo sorbire una bella razione di botte, ma non me ne fregava più niente, da come la vedevo io tocca a tutti prendere le botte prima o poi.
Per noi vivere in qualsiasi altro modo era da matti. Per noi quella brava gente che faceva lavoretti di merda per una busta paga di merda e andava a lavorare tutti i giorni con la metropolitana e stava sempre in pena per i conti da pagare, per noi erano dei cadaveri, erano fessacchiotti, gente senza palle.
Cioè, tutti gli altri scontavano una pena vera, tutti ammucchiati insieme vivendo come porci, ma noi vivevamo soli ed eravamo padroni della prigione. Anche i secondini, che non riuscivamo a corrompere, non avrebbero mai fatto la spia.